Vuoi scalare il tuo business? Costruisci degli asset

Solo il giusto mix di beni tangibili e intangibili permette all'azienda di passare alle successive fasi di sviluppo, dice Daniel Priestley.
5 Settembre 2018
Vuoi scalare il tuo business?
Image by rawpixel.com

Daniel Priestley è un imprenditore e consulente australiano (ma oggi vive a Londra), non ancora quarantenne (è del 1981). Nel 2001, a ventun anni, ha creato la sua prima società, un business di eventi formativi con uno speaker suo amico. Presto si è reso conto di avere una buona capacità di riempire le sale e ha incominciato a scalare l’attività cercando eventi di buona qualità, ma non adeguatamente promossi, a cui offrire i suoi servizi di marketing. Nel 2005 ha raggiunto i 10 milioni di fatturato. Si è spostato a Londra e nel 2008 la sua società di marketing degli eventi operava su scala globale, con contratti a Singapore e negli USA.

Nel 2009 la crisi ha fatto crollare il business e Priestley ha cercato una exit strategy, ma si è visto offrire solo 300 mila sterline per cedere la società. Non ha venduto e nel corso del tempo ha riposizionato l’attività intorno al concetto di “Key Person of Influence”. La sua società attuale, Dent Global, è un acceleratore d’impresa che offre prodotti e servizi di formazione e consulenza a imprenditori che vogliono “emergere, scalare il business e avere un impatto positivo nel mondo”. Nel 2016 la società è stata valutata 10 milioni di sterline.

La storia, raccontata dallo stesso Priestley nel suo libro Le 24 chiavi della crescita, serve per illustrare il suo “modello” dei 24 Assets. Nessuna azienda può avere realmente successo, dice Priestley, se non costruisce degli asset. Finché la sua è rimasta una pura attività di servizi, ha prodotto reddito, ma si è sciolta con la crisi e si è rivelata senza valore patrimoniale. Per costruire valore patrimoniale e rendere un business davvero scalabile bisogna costruire degli asset.

Fin qui niente di nuovissimo, si potrebbe obiettare. Ma Priestley ha ben modellizzato il sistema di asset che un’azienda può avere, suddividendoli in 7 categorie:

1. Proprietà intellettuale: l’azienda detiene, o è nota per, particolari idee, metodi o diritti di proprietà intellettuale che può tutelare.
2. Asset di brand: l’azienda è nota, apprezzata e scelta da un gruppo di clienti fidelizzati che difficilmente passeranno a un brand concorrente.
3. Asset di mercato: l’azienda è capace di vendere prodotti, diffondere idee o essere presente presso un ampio gruppo di potenziali acquirenti in modo più veloce e più economico rispetto alle altre aziende che operano nello stesso mercato.
4. Asset di prodotto: l’azienda ha creato prodotti e servizi unici che sono difficili da replicare o da battere.
5. Asset di sistema: l’azienda ha un insieme di sistemi e processi che le permettono di operare in modo più efficiente rispetto ai concorrenti, con un risultato di qualità pari o superiore.
6. Asset culturali: l’azienda è in grado di attrarre, trattenere, far crescere e gestire persone di qualità a costi inferiori rispetto ai concorrenti.
7. Assets finanziari: l’azienda riesce e raccogliere capitali o ottenere denaro in prestito a condizioni migliori rispetto ai competitor.

Ogni azienda dovrebbe possedere forti asset in almeno alcune categorie: per esempio Google ha asset di proprietà intellettuale (algoritmo) e cultura aziendale (capacità di attrarre persone di un certo tipo); Apple ha asset di brand e di prodotto; Amazon ha asset di sistema (software, processi) e di mercato ecc.

All’interno di ciascuna categoria ci sono poi vari tipi di asset. Priestley dedica buona parte del libro a spiegare in modo dettagliato che cosa sono e come costruire i vari tipi di asset. E nel suo sito offre anche un tool per autovalutare la propria azienda.

Il libro ha anche un’altra idea interessante ed è il modo in cui Priestley categorizza le fasi di sviluppo di un’azienda, dalla startup alla corporation, lungo una curva che somiglia alla curva 80/20 (anche se Priestley non lo dice). Ad ogni fase corrisponde un certo livello di ricavo per addetto, che per Priestley è un parametro fondamentale.

Il 75% delle startup non riesce a evolvere oltre la fase della gestione personale dei soci (1-2 persone). Fra quelle che ci riescono, un piccolo numero può evolvere nella forma della “Lifestyle Boutique” (3-12 dipendenti), un piccolo team dinamico con bassi costi generali e una cultura aziendale di forte energia, ricavi per addetto alti, alto impatto (“sembra più grande di quel che è”).

Quando però la struttura cresce ulteriormente, l’impresa entra in una nuova fase critica (aumento dei costi generali, calo dei ricavi per addetto). La crisi di crescita può essere superata solo arrivando allo stadio “Performance” (50-150 addetti): un team di professionisti che lavorano in modo dinamico con asset di alta qualità. Questo stadio è completamente diverso dallo stadio Lifestyle: cultura aziendale, brand, sistemi e prodotti hanno scalato a un livello superiore e l’azienda serve ora più mercati e più territori. I ricavi per addetto sono alti.

Oltre questo livello l’azienda può poi crescere ulteriormente diventando un “Unicorno” o una corporation vera e propria (250+ dipendenti).

La chiave dello sviluppo da uno stadio all’altro? Gli asset, ovviamente.

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