Mentre parlavamo, mi sembrava chiaro che ce l’avrebbe fatta. Aveva una scintilla, una sorta di sicurezza in se stessa che mi rendeva facile immaginare che un giorno avrebbe trovato il coraggio di dire ai suoi genitori che avrebbe inseguito il suo sogno a Lusaka. Forse si sarebbero arrabbiati per questo, o si sarebbero sentiti tristi per averla persa, o sarebbero stati orgogliosi del fatto che aveva pensato in grande. Forse tutte e tre le cose. Ma lei avrebbe studiato, lavorato e raggiunto il suo obiettivo. Più di quindici anni dopo sono ancora convinto che ce l’abbia fatta. Che non stia ancora camminando su quel sentiero, portando con sé quella tanica. Spero di avere ragione. Il motivo principale per cui sono ottimista – l’unico motivo per cui posso esserlo, in realtà – è che Wema è riuscita ad andare a scuola. Ci voleva mezz’ora per raggiungere il pozzo che abbiamo visitato, ma un’ora di cammino al giorno le lasciava abbastanza tempo per frequentare la scuola e fare i compiti prima del tramonto: il villaggio non aveva elettricità, quindi dopo il tramonto era impossibile leggere.
La DATA me l’ha presentata perché era, in termini relativi, una storia di successo: una ragazza abbastanza fortunata da avere un pozzo nelle vicinanze e da poter passare buona parte delle sue giornate a studiare. Milioni di ragazze non sono così fortunate. Per loro, procurarsi l’acqua non richiede una sola ora; ma tre, quattro o sei. È quello che fanno: camminano per l’acqua. Questa necessità impedisce loro di andare a scuola, di lavorare nei campi per guadagnare denaro per le loro famiglie o di realizzare dei prodotti da vendere al mercato […]. Continuavo a pensare a quel vecchio detto: “L’acqua è vita.” Quante ore della vita di quella quattordicenne erano già state salvate perché qualcuno aveva pensato di scavare un pozzo a un chilometro e mezzo da casa sua invece che a sei o otto? Quello era il motivo per cui poteva trascorrere le sue giornate facendo molto di più che camminare per andare e tornare dal pozzo. Era il motivo per cui poteva perseguire un sogno che le sembrava così grande e audace che esitava persino a dirlo ad alta voce. Per Wema, l’acqua era vita; ed era anche una possibilità di avere una vita migliore.