Per un certo periodo, è vero, l’umanità è stata in grado di mantenere il passo con la propria cultura in continua evoluzione, identificando, ingegnosamente, le modalità per utilizzare al meglio il cervello biologico. Man mano che i loro ambienti quotidiani diventavano intellettivamente più esigenti, le persone hanno risposto aumentando il loro impegno cognitivo. Tale impegno continuo con le asprezze che la vita moderna riserva alla mente – insieme al miglioramento dell’alimentazione e delle condizioni di vita, alla ridotta esposizione a malattie infettive e altri agenti patogeni – ha indotto, nel corso di un secolo, un incremento nel punteggio medio del QI, certificato dalle misurazioni prodotte dai test di intelligenza somministrati a persone di ogni cultura e in tutto il mondo. Ma quella traiettoria ascendente, oggigiorno, si sta appiattendo e stabilizzando.
Negli ultimi anni, i punteggi del QI hanno smesso di aumentare e, addirittura, hanno iniziato a diminuire. Alcuni ricercatori ritengono che le nostre risorse mentali siano state portate al limite. Può darsi che “il nostro cervello stia già lavorando in modo quasi ottimale”, osservano Nicholas Fitz e Peter Reiner, in uno scritto pubblicato sulla rivista Nature. Gli sforzi per estrarre ancora più intelligenza da questo organo, aggiungono gli autori, “urtano contro i rigidi limiti della neurobiologia”. Quasi per opporsi a questa sgradita verità, occorre riconoscere che, negli ultimi anni, i tentativi di superare tali limiti hanno ricevuto una crescente attenzione. Ma i farmaci e le tecnologie che un giorno potrebbero effettivamente migliorare l’intelligenza sono attualmente sottoposti alle prime fasi di sperimentazione.
Il modo migliore – e, almeno per ora, l’unico – per diventare più intelligenti è migliorare il pensiero al di fuori del cervello. Eppure respingiamo, o disprezziamo, questo tipo di cognizione, al punto che nemmeno la prendiamo in considerazione. Il nostro evidente bias a favore del pensiero brainbound ha un’origine lontana ed è ben radicato, ma è soltanto un pregiudizio, che non può più essere sostenuto e, per di più, non appare supportato da evidenze. Il futuro è rappresentato dal pensare fuori dal cervello.