Questo nostro pazzo lavoro è fatto di esseri umani ed emozioni, i più imponderabili dei fattori. Siamo qui, dall’altra parte dell’Oceano, a San Paolo del Brasile, e stiamo per ribaltare il cielo e la terra. Ancora una volta mi domando incredulo come sia potuto succedere, come ci siamo arrivati. Proverò a raccontarvelo, ma adesso tocca concentrarsi.
One, two, three, four. L’arpeggio metallico di una chitarra solitaria si libra come il presagio di un incantesimo, vola radente sul pubblico, fra cui serpeggia immediato un fremito. Quarantamila persone cominciano a rumoreggiare in preda alla febbre di un rito collettivo da cardiopalma. Il respiro si spezza, i peli si rizzano. Conosco questa magia, e come me la conoscono gli spettatori.
È il rock. E al rock non si comanda.
Il charlie della batteria di Lele, acquattata al centro del campo fra altre duecento e più, comincia a scandire i quarti anticipando l’imminente attacco frontale. Le note spiraleggiano nel vuoto, migliaia di mani cominciano a battere a ritmo. Sono le prime avvisaglie dell’uragano. Il crescendo di batteria si intensifica, decine di fari solcano il campo in un balenare di volti e strumenti musicali imbracciati con trepidazione. Batterie, chitarre, bassi, tastiere, mani, volti, occhi, sorrisi. Un migliaio di sorrisi. La tensione è allo spasimo, poi i timpani e i rullanti vengono percossi. Le mura dello stadio tremano, le chitarre entrano in levare tagliando il ritmo con una sciabolata di decibel tonanti. Uno dei riff più granitici della storia si infrange sulle gradinate. Un crescendo di duecento batterie e bassi scuote le fondamenta, e lo stadio esplode. Il cielo viene giù, la terra trema, i corpi vibrano e saltano. Mi scopro a ridere istericamente sulle note di Enter Sandman eseguito da mille musicisti ebbri di emozione.
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Fabio Zaffagnini
I miracoli accadono, i sogni si avverano
La storia di Rockin'1000