Un giorno d’autunno ero tornata da scuola più tardi e c’era qualcosa di diverso. Tutto era immerso nel buio e avvolto in un silenzio insolito. Qualcosa non andava. Sono entrata in casa e ho attraversato il soggiorno preoccupata di quello che avrei potuto trovare. Perché non sentivo il suono dell’arancia Tropicana? Dov’era la mamma? Poi ho sentito qualche click. Seguendo i rumori, sono arrivata in cucina, dove mamma era seduta, china sul tavolo. Sembrava una sala operatoria. C’erano nastro isolante, cacciaviti e, sparpagliati davanti a lei, un’infinità di piccolissimi pezzi della radio Tropicana smontata. “Mamma, va tutto bene? Che cosa è successo alla tua radio? Si è rotta?” “Va tutto bene, Ree. Non è niente. L’antenna si era rotta e il sintonizzatore non funzionava bene, adesso la sto aggiustando.” Sono rimasta lì ferma, in piedi, per qualche secondo, a osservarla mentre compiva quella magia. Alla fine, le ho domandato: “Senti, mamma, com’è possibile che tu sappia fare tante cose diverse che non avevi mai fatto prima, senza che nessuno ti abbia insegnato?”
Lei ha posato il cacciavite sul ripiano del tavolo, si è voltata verso di me e ha detto: “Non essere sciocca, Ree. Niente nella vita è poi così complicato. Puoi fare tutto ciò che ti metti in mente di fare se semplicemente ti rimbocchi le maniche, ti impegni e lo fai. A tutto c’è una soluzione.” Sono rimasta folgorata, e in estasi continuavo a ripetermi quelle parole: a tutto c’è una soluzione. A tutto c’è una soluzione. Cavolo, sì…
A tutto c’è una soluzione!
Questa frase e questa filosofia si sono radicate profondamente dentro di me. Da allora sono diventate la spinta che, più di ogni altra, mi motiva nella vita. È la prospettiva che mi ha aiutata a porre fine a una relazione violenta. Al college mi ha aiutata a ottenere borse di studio per studenti lavoratori per cui c’era poca disponibilità e molta competizione. Così sono riuscita a pagarmi l’alloggio e le tasse universitarie e ad accedere ai corsi che avevo scelto di frequentare, nonostante i prerequisiti necessari e le liste d’attesa. Quando ero più giovane, ricordando questa frase, ho continuato, senza arrendermi, a tentare di entrare nelle squadre sportive e nei gruppi di cheerleading che mi piacevano, anche se ricevevo, ogni anno, un rifiuto dopo l’altro.